Il termine greenwashing, incluso nell’Oxford English Dictionary sin dal 1999, identifica l’“appropriazione indebita di virtù ecologiche volte alla creazione di un'immagine «verde»”[2]. Le pratiche greenwashing esistono da molti anni ma ultimamente si sono intensificate, dato che l’immagine di prodotti e servizi percepiti come rispettosi dell’ambiente, naturali o biologici è migliore - da cui maggior appetibilità e premium price – rispetto a quelli che ne sono privi.
Esso si realizza quando vengano utilizzate affermazioni ambientali o dichiarazioni ecologiche che suggeriscano che un prodotto o un servizio abbia un impatto positivo o sia privo di impatto sull’ambiente, o che sia meno dannoso per l’ambiente rispetto a prodotti o servizi concorrenti, senza che lo sia davvero o senza dati concreti a sostenerlo. Il concetto é che un messaggio non viene reso ingannevole solo da dolo o errori ma anche dalla scarsa accuratezza delle informazioni.
Un esempio in buona fede è presentare edifici dotati di interi piani destinati a serra e terrazze popolate di piante, come soluzioni non solo gradevoli e moderne ma anche eco-sostenibili di per sé. L’apparenza non basta, l’affermazione andrebbe circostanziata: possono richiedere più acciaio e cemento per sostenere i pesi aggiuntivi di terrari e piante, maggior consumo d’acqua per l’irrigazione, strutture aggiuntive per il carico del vento, gru per trasportare le piante a tutti i piani dall’ingente dispendio energetico.
Espressioni vaghe e generiche come «rispettoso dell'ambiente», «ecocompatibile», «verde», «attento ai cambiamenti climatici», «a basso impatto ambientale», «biologico» etc., sono esempi di greenwashing presunto, se non vengono chiaramente indicati quanto e a quale aspetto del prodotto o dell’attività si riferiscano i benefici vantati. Si entra di fatto nel campo delle pratiche di commercio sleali: la veridicità delle asserzioni ambientali deve essere comprovabile, la loro verificabilità impone ai professionisti di basare le proprie dichiarazioni su dati tecnici acquisiti e/o elaborati con metodo scientifico, presentati al pubblico in modo comprensibile [3].
Le aziende iniziano a comprendere quanta attenzione vada riposta riguardo alle affermazioni pubbliche che fanno rispetto all'ambiente: un' accusa di greenwashing può danneggiare gravemente la reputazione, mentre di converso le imprese che realmente investono in processi di transizione alla sostenibilità sono penalizzate da chi diffonda messaggi vaghi.
La complicazione normativa; i rischi di errore su quanto “precisa” e “scientifica” debba essere una informazione o rendicontazione sull’impatto ambientale, climatico o sulla biodiversità; la pressione di Pubblica Opinione e Autorità sempre più attente ai temi della sostenibilità: tutto questo sta generando un fatale cortocircuito. Non ci riferiamo alle sempre più rare imprese “silentbrown” cui l’ambiente continua a non interessare a livello strategico e, coerentemente, nella comunicazione, ma a quelle che si trovino a praticare il cosiddetto greenhushing o ‘silenzio verde’.